Dolore cronico ed esercizio fisico: l’unione fa la forza

Il dolore è un’esperienza emozionale che ognuno di noi prova durante la propria vita. Riferendoci
nella fattispecie al dolore fisico, questo può comunemente manifestarsi in seguito ad un trauma, uno
stress meccanico ripetuto, un sovraccarico, un disturbo sistemico. una buona parte della
popolazione può però subire la permanenza di uno stato doloroso cronico, in generale per oltre 3
mesi o per un periodo di tempo superiore alla risoluzione di un infortunio o alla guarigione di una
patologia, che interferisce con le attività quotidiane e nella partecipazione alla vita sociale.
L’approccio terapeutico al dolore cronico è spesso basato unicamente sulla terapia farmacologica
ma gli studi scientifici hanno ampiamente dimostrato come anche l’esercizio fisico debba essere
incluso nei trattamenti di prima scelta.


In ambito sanitario, il termine dolore viene descritto in modo assai diverso da ciascun paziente per
mezzo di termini ormai largamente entrati nell’”alfabeto” medico.
Si va dal dolore “trafittivo” al “bruciore”, dalla “puntura d’ago” alla sensazione di “spillo
conficcato” da una pesantezza e rigidità diffusa fino alla sensazione di “morso” localizzato.
Molti di questi termini sono molto utili in fase valutativa e ci permettono di ascrivere la situazione
del paziente ad un quadro di dolore neuropatico e cioè proveniente dal sistema nervoso centrale o ad
un dolore nocicettivo, proveniente dalla periferia del corpo che è andata incontro ad un danno (una
distorsione, una ferita, un movimento brusco improvviso ecc…).
Sfortunatamente circa il 20-30% dei pazienti può sperimentare una terza “tipologia” di dolore
persistente, che si protrae nel tempo (in genere oltre 3 mesi) in assenza di un trigger nocicettivo o
di un trauma del SNC. In questi casi si parla generalmente di dolore cronico o di dolore cronico
non neuropatico. Il dolore, dunque, non avrà più un ruolo protettivo nei confronti di un potenziale
danno ma diventerà esso stesso patologia del sistema nervoso centrale.
In presenza di dolore cronico potranno essere correlati ai sintomi clinici anche tendenza alla
catastrofizzazione, depressione, disturbi della concentrazione e della memoria, disturbi d’ansia,
disturbi del sonno e kinesiofobia (fobia del movimento).


Uno dei concetti alla base della spiegazione di questo fenomeno è la “sensibilizzazione centrale”,
una condizione di ipersensibilità del sistema somatosensoriale che coinvolge tutto il sistema
nervoso: la periferia tenderà ad inviare con maggiore reattività un segnale doloroso al Sistema
nervoso centrale e, a loro volta, il cervello e il midollo spinale avranno minori capacità di
inibire l’output doloroso.
Inoltre, è stata dimostrata un’estensione delle regioni cerebrali coinvolte che, “arricchisce”
l’esperienza dolorosa con aspetti sensoriali, emotivi, cognitivi, motori e comportamentali.
Il paziente con Sensibilizzazione Centrale, dunque, presenta alta responsività ai vari stimoli
(meccanici, chimici, termici..), manifestando iperalgesia (esaltazione del dolore in seguito ad uno
stimolo nocicettivo lieve o lontano dalla zona interessata), allodinia (presenza di dolore in seguito
ad uno stimolo non nocicettivo), distribuzione anatomica del dolore variabile e vaga e non vi è
risposta ai FANS.

Spesso, durante una valutazione fisioterapica, il fisioterapista chiede al paziente da quanto tempo è
presente il sintomo che lo ha portato a richiedere il suo intervento. Tendenzialmente, molti pazienti
non identificano un momento preciso di insorgenza del dolore o lo riportano ad anni fa. Riferendoci
al parametro temporale, si inizia a parlare di dolore cronico o persistente quando questo è presente
da almeno 3 mesi con intensità e frequenza costanti nel tempo e deficitaria risoluzione da parte
degli interventi farmacologici (passa l’effetto del farmaco e ritorna). In questo contesto, risulta
quindi importante valutare non solo lo stato attuale del paziente ma anche il suo recente passato e le
più moderne evidenze scientifiche confermano come un trauma emotivo (un lutto famigliare ad
esempio), errate convinzioni e tipologie di personalità dipendenti siano strettamente correlate ad
una situazione di dolore persistente.
Il compito del fisioterapista sarà quindi anche quello di educare il paziente e cercare di eliminare
errate convinzioni (come continuare a richiedere esami strumentali, evitare movimenti
assolutamente normali per paura del dolore ecc…).
Il centro Nigro Fisioterapia Avanzata, proprio per venire incontro a determinate
situazioni, è specializzato in Mental Coach, un insieme di tecniche prese dalla
PNL (programmazione neuro linguistica), che permettono di valutare l’aspetto
cognitivo e mentale del paziente. La PNL ha tra i suoi scopi, quindi, l’obiettivo di
sviluppare abitudini/reazioni di successo, amplificando i comportamenti
“facilitanti” (cioè efficaci) e diminuendo quelli “limitanti” (cioè indesiderati).


L’esercizio è una modalità di cura dimostrata per il miglioramento del dolore cronico, sfruttando
la capacità “plastica” del sistema nervoso di invertire un cambiamento maladattivo.
L’attività fisica regolare e consistente sembrerebbe avere un ruolo “anti-infiammatorio” sistemico
e alcuni studi, inoltre, hanno evidenziato che esercitare una parte del corpo non dolente può
dare effetti analgesici verso la zona dolorosa, confermando come i meccanismi del dolore
cronico, e le modalità di modulazione, si estendano oltre la sede in cui è presente dolore.
È stato dimostrato che l’esercizio fisico, in associazione alla terapia cognitivo-comportamentale
(Cognitive-Behavioural Therapy, CBT), permette anche di migliorare gli outcome nei pazienti con
disturbi del tono dell’umore e correlati all’ansia riducendo la tendenza alla catastrofizzazione e la
kinesiofobia e migliorando la propria autostima e fiducia in se stessi.
Dunque, l’esercizio fisico, oltre ad apportare benefici in termini di forza, resistenza e mobilità,
agisce positivamente sulle funzioni cognitive, contribuendo al miglioramento della sintomatologia
dolorosa e della funzione.
In ambito fisioterapico, sarà compito del fisioterapista modulare tipologia, intensità, frequenza e
modalità di esercizio, spaziando fra gli esercizi aerobici a quelli di allungamento, fino al rinforzo
muscolare e agli esercizi propriocettivi.
Nei soggetti con bassa self-efficacy, alta catastrofizzazione e kinesiofobia sarà importante
supervisionare e rassicurare il paziente durante le sedute, spiegando, inoltre, che il dolore non è
sempre un segnale di danno strutturale o patologia sottostante ma un complesso meccanismo
influenzato da fattori emozionali e psico-sociali.
Il linguaggio del terapista riveste un ruolo fondamentale per evitare di allarmare ulteriormente il
paziente e ricontestualizzare le credenze e i pensieri sul dolore.
In conclusione l’esercizio terapeutico, oltre agli effetti sulle strutture muscolo-scheletriche, sul
metabolismo, sul sistema cardio-circolatorio, interviene nella modulazione del dolore riducendo
l’ipereccitabilità corticale e stimolando i processi di inibizione discendente.


L’esercizio, inoltre, promuove la comprensione dell’esperienza dolorosa e può partecipare
ad invertire il ciclo vizioso composto da dolore, inerzia, comportamenti sedentari e peggioramento
della disabilità.
Dunque, nei pazienti con dolore cronico, dovrebbe essere incoraggiata qualsiasi forma di attività,
anche se inizialmente a basse intensità e di breve durata.

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