Fascite plantare: cos’è e come trattarla per tornare a camminare senza problemi

La fascite plantare (più correttamente definita “fasciopatia plantare”) è una condizione dolorosa, spesso limitante, che colpisce sia la popolazione sedentaria che quella sportiva. Infatti, ci sono 2 tipologie di pazienti più frequentemente interessate: i corridori (in particolare quelli che aumentano eccessivamente l’attività, troppo presto e troppo velocemente) e le persone in sovrappeso (in particolare quelli che passano molto tempo in piedi, ad esempio al lavoro).

Negli ultimi anni, il termine “fascite” è stato sostituito dal termine “fasciopatia”, a sottolineare maggiormente l’aspetto cronico-degenerativo della fascia plantare piuttosto che quello infiammatorio.

I fattori di rischio che stanno alla base dell’insorgenza della fasciopatia plantare sono ad oggi fonte di discussione e dibattito. Si pensa che la fascia plantare, messa sotto stress eccessivi e ripetuti nel tempo, possa sviluppare delle microlesioni.

I fattori di rischio che vengono maggiormente presi in considerazione in letteratura sono (JD Goff e R. Crawford, 2011):

  • Eccessiva pronazione del piede (piede piatto)
    • Arco rialzato (piede cavo)
    • Discrepanza nella lunghezza degli arti inferiori
    • Obesità
    • Prolungata posizione eretta
    • Debolezza dei muscoli intrinseci del piede
    • Carichi eccessivi nell’allenamento di corsa

Questi fattori dovranno essere presi in considerazione durante la valutazione e l’esame fisico del paziente, per poter improntare adeguatamente il trattamento riabilitativo.

La maggior parte dei pazienti presenta rigidità e dolore a livello della fascia plantare, in particolare all’inserzione sul calcagno. I sintomi si manifestano principalmente al mattino, ai primi passi appena scesi dal letto o dopo esser stati seduti per un periodo più o meno lungo.

All’esame fisico, il terapista palperà l’aspetto mediale del piede, partendo dal tallone, per monitorare l’eventuale comparsa dei sintomi. La dorsiflessione passiva del piede potrebbe causare discomfort nell’area prossimale della fascia plantare.

A completare l’esame risulta utile anche la valutazione del tendine d’Achille.

Come detto la valutazione presenta una componente clinica basata sull’anamnesi del paziente e la palpazione dell’area dolente. Particolarmente rilevante risultano poi essere la diagnosi differenziale per poter escludere cause diverse e non di competenza fisioterapica, ma che possono mimare una fasciopatia plantare, quali ad esempio:

  • Cause neurologiche (intrappolamenti nervosi, neuropatie, sindrome del tunnel tarsale)
    • Cause di natura ossea (frattura calcaneale, fratture da stress)
    • Dolori causati da altri tessuti molli (tendinopatia achillea, borsite retrocalcaneale, tendinopatia del tibiale posteriore).

In terza analisi si osserva l’imaging in possesso del paziente (solitamente rx del piede). La radiografia permette sia di valutare eventuali presenze di fratture da stress, ossa accessorie e Spine calcaneari.

A questo si può associare la valutazione ecografica, utile soprattutto per osservare il grado di ispessimento del legamento plantare sede della sintomatologia del paziente.

Il trattamento conservativo viene inizialmente scelto come trattamento d’elezione. In realtà esistono diverse tipologie di trattamento che vengono proposte in letteratura, anche se le evidenze a riguardo sono poco convincenti.

Nelle prime fasi, se il dolore è molto elevato, viene consigliato il riposo o, più precisamente, una modifica delle attività che esacerbano il dolore.

Sempre nelle prime fasi, i farmaci antinfiammatori non steroidei, se associati al trattamento fisioterapico, sembrano avere buoni risultati nella diminuzione del dolore e della disabilità.

Le maggiori evidenze le troviamo a favore dell’esercizio terapeutico e del rinforzo dei muscoli intrinseci del piede.Questo interessa non solo il.piede ma tutti i compensi associati nell’arto inferiore e nella stabilità del core, cioè la componente addominale e la schiena. L’esercizio terapeutico sembra essere più efficace, rispetto allo stretching, se svolto con modalità eccentrica o concentrica e con carichi medio-elevati.

Anche i plantari possono svolgere un ruolo importante se utilizzati nei pazienti con piede piatto.

Le infiltrazioni, invece, sembrerebbero avere una diminuzione dei sintomi nel breve termine, così come lo stretching, ma non possono essere indicati come trattamento unico e di lunga durata.

Nel trattamento fisioterapico si integra sempre di più l’utilizzo delle onde d’urto che aiutano e accelerano il ripristino del tessuto ispessito ed io riassorbimento di eventuali Spine calcaneari associate.

La fasciopatia plantare è una condizione rognosa e non di rapida risoluzione essendo il piede sempre associato ai carichi e perennemente coinvolto nelle nostre attività quotidiane, lavorative e sportive. La fisioterapia si pone quindi l’obiettivo non solo di trattare questa condizione, ma educare il paziente a “nutrire” il suo piede e a saper gestire tale condizione evitando recidive.

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